Ieri ho partecipato ad un incontro, organizzato nell’ambito del “Natale dei Popoli” di Rovereto, dove son state invitate a parlare alcune esponenti di quella che, con un termine molto in voga negli ultimi tempi, viene definita la società civile. Cioè erano rappresentanti donne di alcune cooperative operanti a At-Tuwani, villaggio palestinese situato a sud della città di Hebron. Assieme a loro erano presenti alcuni volontari dell’Operazione Colomba, che hanno svolto il loro servizio in quei posti, tra quelle persone. Questi ragazzi son stati i primi a parlare, raccontando la loro esperienza in Terra palestinese.É stata poi la volta del sindaco di quella comunità palestinese e di due donne rappresentanti delle cooperative. Hanno raccontato la loro vita, come resistono all’occupazione e come questa si articola in più forme che non sono solo le violenze militari, ma sono anche, per esempio, i blocchi ai lavori pubblici (acqua e elettricità) ed tanti sopprusi quotidiani.La cosa che più mi ha colpito della chiacchierata è stata la spiegazione dell’esistenza di una rete ampia e diffusa in tutto il Paese di associazioni che praticano una resistenza non violenta all’occupazione israeliana. Una notizia, questa, che fa ben sperare per il futuro di quell zona del mondo dilaniata dalle guerre, ma che fa anche arrabbiare ulteriormente contro i media nostrani, sempre e solo interessati a mostrare la resistanza palestinese come offensiva ed estremamente violenta per giustificare sempre e comunque le sproporzionate reazioni israeliane, non da ultima, la recentissima Operazione Pilastro di Difesa (detta anche Operazione Colonna di Nuvola).
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#Poesia \\ Günter Grass – Quello che deve essere detto
Günter Grass |
Ecco il testo (pubblicato su Repubblica e tradotto da Claudio Groff) della recente poesia scritta dal premio Nobel per la letteratura Günter Grass che sta suscitando numerosi scandali e censure, non da ultimo l’etichetta di “persona non gradita” da parte del governo israeliano. E’ una vibrante poesia di denuncia contro Israele, visto come una minaccia per la pace mondiale: i versi chiedono di smetterla mandare gli ispettori a controllare gli arsenali militari anche israeliani (che facilmente contengono armi atomiche) invece di accanirsi contro l’Iran.
Quello che deve essere detto
di Günter Grass
Perché taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo
quanto è palese e si è praticato
in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo tutt’al più le note a margine.
E’ l’affermato diritto al decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano
soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo
organizzato,
perché nella sfera di sua competenza si presume
la costruzione di un’atomica.
E allora perché mi proibisco
di chiamare per nome l’altro paese,
in cui da anni — anche se coperto da segreto —
si dispone di un crescente potenziale nucleare,
però fuori controllo, perché inaccessibile
a qualsiasi ispezione?
Il silenzio di tutti su questo stato di cose,
a cui si è assoggettato il mio silenzio,
lo sento come opprimente menzogna
e inibizione che prospetta punizioni
appena non se ne tenga conto;
il verdetto «antisemitismo» è d’uso corrente.
Ora però, poiché dal mio paese,
di volta in volta toccato da crimini esclusivi
che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,
di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile, la cui specialità
consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove
l’esistenza di un’unica bomba atomica non è provata
ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,
dico quello che deve essere detto.
Perché ho taciuto finora?
Perché pensavo che la mia origine,
gravata da una macchia incancellabile,
impedisse di aspettarsi questo dato di fatto
come verità dichiarata dallo Stato d’Israele
al quale sono e voglio restare legato.
Perché dico solo adesso,
da vecchio e con l’ultimo inchiostro:
La potenza nucleare di Israele minaccia
la così fragile pace mondiale?
Perché deve essere detto
quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;
anche perché noi — come tedeschi con sufficienti
colpe a carico —
potremmo diventare fornitori di un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
cancellerebbe la nostra complicità.
E lo ammetto: non taccio più
perché dell’ipocrisia dell’Occidente
ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile
che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,
esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo riconoscibile e
altrettanto insistano perché
un controllo libero e permanente
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
sia consentito dai governi di entrambi i paesi
tramite un’istanza internazionale.
Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora, per tutti gli uomini che vivono
ostilmente fianco a fianco in quella
regione occupata dalla follia ci sarà una via d’uscita,
e in fin dei conti anche per noi.
#RECENSIONE // Apuzzo – Lettere al di là del muro
“Sogno un cielo azzurro, sogno il canto di pace di un uccellino, alberi verdi e strade senza check point e senza filo spinato, per vivere in pace e riprenderci la nostra infanzia, per come deve essere” (Marah, 12 anni; p. 88).
Iniziando a sfogliare le lettere dei bambini palestinesi che compongono questo libro, la mente non può che andare a quella tragica testimonianza che è il Diario di Anna Frank.
Fig.1 |
L’espressione ciceroniana historia magistra vitae mi pare che qui, più di ogni altro posto e occasione, ha la sua fine.
Fig.2 |
Fig.3 – Si può leggere la scritta “with love from Israel” |
- “Cadono le foglie dagli alberi sulla terra e da lontano viene il vento per raccoglierle, ma il loro grido di aiuto cade nel vuoto, perché sono rinchiuse dentro queste mura che si chiamano campo profughi.” (Marah, 9 anni; p. 92);
- “Alcuni fratelli sono stati privati dell’istruzione per permetterci di affrontare le spese necessarie.” (Suheir, 12 anni; p. 98);
- “Un giorno Ahmad si siede a pensare a quello che vede tutti i giorni all’interno del campo: quando i soldati fanno incursione nelle case rompendo alcune cose, porte e oggetti e qualche volta prendono i giovani e i bambini e li mettono in prigione.” (Ahmad, 12 anni; p. 130);
- “I soldati impediscono agli studenti di andare a Sheikh Jarrah. Ci vogliono tre ore per far passare una sola auto dal check point.” (Mohammad, 12 anni; p. 86);
- “Vorrei che la Palestina fosse libera.” (Sarah, 11 anni; p. 83);
- “Dopo il nonno è diventato profugo, prima è stato a Gaza, poi in Giordania e alla fine a Qalandia. Prima invece viaggiava per lavorare, in Egitto e in India, faceva anche la guida turistica.” (Ahmad 13 anni; p. 121);
- “Ma qual è l’utilità per noi bambini della presenza di questi giornalisti che continuano a fotografare la sofferenza? E’ possibile che possano fare qualcosa per aiutarci?” (Marah, 9 anni; p. 92);
- “Vorrei essere una pietra nel muro del ritorno, che è un muro più alto del Muro della discriminazione razziale. Il muro sul quale, in una mattina lucente, passeremo.” (Iman, 12 anni; p. 115);
- “L’istruzione è l’arma della libertà, un’arma per battere l’ignoranza.” (Rasha, 11 anni; p. 99);
- “I bambini giocano, studiano e ricevono cure, finché non arriva l’occupante ed entra nel campo, allora i bambini resistono e lottano.” (Nur, 11 anni; p. 129);
- “Io non godo di niente, mi è stata rubata la dignità, la libertà.” (Suheir, 12 anni; p. 98);
- “Per sfortuna ci sono dei problemi a casa dove vivo: le case sono attaccate l’una all’altra e questo rende difficile l’ingresso dei raggi del sole e dell’aria nelle case; il Muro mi impedisce di muovermi liberamente e l’inquinamento dell’ambiente e i fumi che si sprigionano dall’incenerimento dei rifiuti provocano malattie per l’uomo.” (Rasha 11 anni; p. 99);
- “Vorrei essere anche un ingegnere per ricostruire le case demolite” (Samah, 12 anni; p. 82);
- “Io ho un sogno, è lo stesso dei miei nonni, che è il ritorno al nostro bellissimo villaggio che è stato occupato da Israele” (Mahmud, 12 anni; p. 87);
- “Sogno un cielo azzurro, sogno il canto di pace di un uccellino, alberi verdi e strade senza check point e senza filo spinato, per vivere in pace e riprenderci la nostra infanzia, per come deve essere” (Marah, 12 anni; p. 88).
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DATI TECNICI DEL TESTO RECENSITO
AUTORE: Stefano Apuzzo, Serena Baldini, Barbara Archetti
TITOLO: Lettere al di là del muro dai bambini palestinesi dei campi profughi
CASA EDITRICE: Ecoalfabeto. I libri di Gaia
N° PAGINE: 165
ANNO DI EDIZIONE: 2008