La "democrazia esportabile"

Ho letto questa risposta (e domanda) su un libretto, comprato in una bancarella del libro usato (lode alla bancarelle!), nel quale Simone Casalini interrogava vari specialisti delle scienze umane sul Novecento. In ogni intervista si cercava di dare un velocissimo affresco di questo secolo dando gli estremi e punti focali a seconda delle diverse prospettive: quella del filosofo, dello storico, dell’economista, del politologo e così via.
Questo scambio di battute l’ho copiato dall’intervista fatta a Sergio Fabbrini, nella quale si discuteva della politica del Novecento. Mi ha colpito particolarmente perché mi ha fatto immediatamente tornare alla mente la frase, che ho anche come sottotitolo al blog, “non si può imporre la democrazia al popolo, si può solo dargli la possibilità di esercitarla.”; ecco, quest’intervista mi pare che spieghi quel concetto espresso da Gorbačëv quasi venticinque anni fa, ma, purtroppo, fin troppo attuale e mai rispettato.
In calce ho inoltre trascritto le biografie dell’intervistatore e dell’intervistato.

(sc) Anche l’idea di una “democrazia esportabile” è stata un concetto ambiguo, una giustificazione per un cambio di direzione sulla scena politica internazionale.

(sf) La democrazia è un concetto plurale, basti vedere l’esperienza occidentale. In Europa abbiamo costruito diversi modelli democratici, proprio per adattarli alle diverse condizioni sociali e culturali. Alla fin fine, un grande politologo americano, Elmer Eric Schattschneider, aveva scritto poco dopo la seconda guerra mondiale che «la democrazia è stata fatta per i cittadini e non viceversa». In realtà, la democrazia non si esporta, ma deve essere costruita pazientemente dall’interno. Il compito dello scienziato della politica è quello di mostrare tale pluralità di vie della democrazia. Dopo tutto, se in Europa o in Occidente abbiamo trovato strade differenziate, non vedo la ragione per la quale i Paesi non occidentali non possano fare altrettanto, adattando i principi democratici ai loro contesti. Negare loro questa possibilità significa riaffermare la visione della nostra superiorità culturale. Una visione che trovo moralmente, oltre che scientificamente, infondata.

[Simone Casalini, Intervista al Novecento, Egon, 2010, Rovereto, pp. 43-44]

Simone Casalini (Fano, 1974): laureato in Scienze politiche all’Università degli Studi di Urbino, si è occupato di ricerca in ambito politologico e filosofico, studiando in particolar modo la produzione della Scuola di Francoforte e il poststrutturalismo francese. 
Sergio Fabbrini (Pesaro 1949): è professore di Scienza politica e Relazioni internazionali e direttore della School of Goverment dell’Università Luiss di Roma.È recurrent visiting professor in Comparative Studies della University of California di Berkeley. È stato professore ordinario di Scienza politica presso l’Università degli Studi di Trento e direttore della Scuola di studi internazionali. È stato direttore della “Rivista italiana di scienza politica” dal 2004 al 2009. Nel 2009 ha vinto il premio Filippo Burzio per le Scienze politiche e nel 2006 è stato il primo italiano ad aggiudicarsi l’European Amalfi Prize for the Social Sciences.