Simile alle danze degli stregoni negri impazza ora in Europa il "rock’ n-roll"

Direttamente dagli anni ’50 un simpatico articolo sul rock (inteso come ballo e non come musica) e il suo dilagare in Europa. Curioso, poi, notare come il giornalista si ingegni nel trovare delle nobili origini a questa nuova danza, vista come la dissacrazione di un ballo tipico catalano. Lo scrittore così va a descrivere le impressioni di questa danza catalano, arrivando a toccare brevemente anche la situazione politica nella Catalogna: il ballo diviene così una forma di autoidentificazione, di differenziazione dal potere centrale (notevole anche la frecciatina lasciata per gli esponenti SVP e austriacanti vari, leggera ma incisiva). Per quanto la parte sul rock ( i primi capoversi) sia alquanto datata e ricca di pregiudizi, è simpatico leggere di questo genere, ormai quotidiano e di routine nelle nostre vite, ma che sessant’anni fa era una sconosciuta, e malvista, novità!
L’articolo è tratto da l’Adige del 23 ottobre 1956. Ho copiato l’articolo così com’è stato scritto, lasciando accenti e parole così com’erano (es. perchè e non perché).
sospende il traffico e mette in allarme la polizia
Simile alle danze degli stregoni negri impazza ora in Europa il “rock’ n-roll”
esso appare una degenerazione di una elegante danza catalano: la sardana
 
 
Fra le altre cose, buone e meno buone che ci ha inviato l’America, le danze: il cacke-wolk, il fire-can-can, e questa furia di «rock’n-roll»che di recente si è scatenata su Londra e su Parigi, sempre s’intende, in grazia della decima musa.
«Pensa – diceva un testimone di quel bailamme – un’esaltazione, una eccitazione che afferra tutti, che nulla può invidiare alle fantasie degli zulù alle danze dei cannibali; che sospende il traffico e arresta le automobili. – Ha almeno questo pubblico vantaggio, se è vero che chiodo scaccio chiodo. Oh! il Bel Danubio bleu! Oh, le Serate del bosco viennese… E la Danza delle Ondine e il Valzer dei fiori!»
E noi potremmo leggerci, e ricercare in tutta «L’histoire de la danse, à travers les àges»di F. de Ménil, senza trovare qualcosa che le si avvicini, ove volessimo tentare raffronti tra le tribù primitive e la civiltà nostra. Libertà o anarchia? Rammollimento cerebrale, paranoia, o pazzia collettiva? Auguriamoci d’esser lasciati in pace almeno in casa nostra, salmisìa, chè non si sa mai. E provveda chi tocca dal momento che con queste quattro righe noi non avremo ancora salvato niente.
E così cambiamo discorso. Tanto più perchè codesta novità coreografica mi ha fatto ricordare un’altra danza che, avendo un tenue filo di contatto con quella, si svolge però con eleganza e grazia di movenze, su ritmi vivaci e caratteristiche melodie: è la «Sardana», la danza tipicamente nazionale che i catalani svolgono con lo stesso sentimento degli altri popoli quanto intonano l’inno nazionale, o salutano la bandiera. È un atto di fede, «es la dansa més bella…», come potreste certo sentirvi dire. Perchè i catalani considerano la loro civiltà, la lingua, i costumi, le attività come indipendenti dalle corrispondenti caratteristiche spagnole; da ciò il movimento separatista catalano, che non trascura – nemmeno là – nessuna affermazione, almeno teorica, ma che è sempre stata una certa incognita per l’unità spagnola. Più il sentimento catalano è stato combattuto dal governo centrale, più si è danzato la sardana, più si è reagito così pacificamente, a suon di musica anzichè di legnate. È un bell’esempio. Perciò anche coloro che non hanno mai mosso un passo a ritmo di danza, entrano nel gran cerchio dei ballerini, si lanciano nel vortice per dimostrare il proprio irriducibile sentimento regionalistico.
Ma si balla così anche senza significato politico, per la gioia sola di ballare, di fare un po’ di chiasso in compagnia.
La saradana cominciò a danzarsi in Gerona, nelle regioni dell’Ampurias, della Selva, della Garrocha, isolandosi dal «contrapàs», di difficile esecuzione, di cui era una figura. Divenne cosa a sè, una specie di girotondo, al quale tutti possono partecipare.
In qualche sera, sul Parallelo – il grande viale popolare dei divertimenti a Barcellona – sulla piazza dell’Università, o lungo il Paseo de Gracias, una delle molte orchestrine attacca le prime otto battute, che sono come l’invito. Allora vedreste uomini e donne alzarsi dai tavolini dei caffè, sbucare di corsa da una delle tante stradicciole e in un attimo formare la «rosa».
TI trovi per caso da quelle parti? Coraggio, entra anche tu nella rosa; e sarai certo di trovare due mani tese ed un sorriso cordiale ad invitarti. Farai il girotondo ad una grande fontana, sarai trascinato su per la fantastica scala che dal Palacio Nacional scende a Plaza de España. I tram si arrestano, le automobili si fanno educatamente, silenziosamente, da un lato; e qualcuno magari anche salterà a terra tanto per sgranchirsi le gambe. poi si metterà più volentieri a sedere. Per conto tuo, se non sei allenato, prova a resistere; resistere magari – ok, metti caso – a due occhi neri e ad una voce ben intonata: «Quan tu ‘m mires – i sospires – sento que abrusa mon cor – l’amor…». Già, si batte sempre lì, come dicono i titoli: «Cor sobre cor…», «El cavalier enamorado», «Una mirad…», «Santa Espina»poi, è veramente il canto nazionale catalano.
Da pochi anni soltanto la Sardana si è generalizzata. Era prima una danza rurale, che la gente di città considerava con interesse, ma non ballava, giudicandola poco distinta; sarebbe come se nei nostri salotti borghesi si fosse danzato un tempo, la tarantella, il trescone o la monferrina. Oggi, all’invito di quelle prime affascinanti battute, escon di casa, volan le suole, si lanciano nel turbine, a correre, a pirlare, a zompare, a cantare: «core sobre cor», per confermare sempre più, con i passi ritmici e armonici della danza nazionale il proprio irriducibile sentimento, la incocussa fede; mentre il movimento separatista – che non trascura nessuna affermazione teoria… – si libra sull’ali del canto. Così non dà noie al governo.
«Oh! Santa Espina!»
Giorgio Ed. Calandra