I giorni del ricordo, alcune riflessioni

“La lunga strada per la Liberazione dall’odio”.
Riflessioni attorno al Giorno della Memoria, del Ricordo e alla Festa della Liberazione
Il Giorno del Ricordo, istituito per legge al 10 febbraio (la L. 92/2004), viene a cadere pochi giorni dopo l’altra grande giornata dedicata al ricordo degli orrori figli della Seconda guerra mondiale, cioè il Giorno della Memoria (che si commemora il 27 gennaio)
Questa vicinanza delle commemorazioni (con anche una similitudine nei commemorati), non ha fatto che creare una certa confusione nel concetto di “ricordo”, che non viene inteso come atto inteso a far tornare alla mente un qualcosa, ma “ricordo” inteso come commemorazione dei morti, di determinati morti.
Da quel che vedo e sento sulla rete, sui giornali, nei discorsi pubblici, il 27 gennaio lentamente sta perdendo valore e significato; non che prima, nel momento della sua istituzionalizzazione ne avesse di più, si tratta di una commemorazione istituita da poco, ma erano i principi che ci stavano dietro ad avere forza: l’antifascismo, la libertà, l’uguaglianza.
Ma oggi, con gli anni che passano (la seconda guerra è finita quasi 70 anni fa), i sopravvissuti che sono ormai pochi, con i revisionisti che si fanno più audaci, e, proprio al riguardo della Shoa, con le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi, il ricordo del grande sterminio perpetrato dai nazisti sembra rimanere in vita solo per la consuetudine di identificarlo con la più grande barbarie mai fatta dall’uomo. Consuetudine, non consapevolezza.
In parallelo, il 10 febbraio, essendo stato istituito da poco è entrato prepotentemente nel dibattito politico e culturale, anche per la storia stessa del fenomeno storico.
Il ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata è stato lasciato per decenni in mano ai nostalgici e ai neofascisti vari, unici che accolsero la richiesta di una giusta memoria per quelle genti ignorate dalla politica ufficiale per motivi di real politik.
Sostanzialmente, ora che questa Giornata è stata istituita si vede lo stesso problema che attanaglia la Festa della Liberazione (il 25 aprile), una festa che dovrebbe essere di tutti, ma che alla fine è solo di una parte politica.
In questo modo, questi due grandi eventi (foibe e liberazione) da commemorare e ricordare si dividono tra “fascisti” e “comunisti”, in un continuo rincorrersi di insulti, tentativi di minimizzare, di ridicolizzare o rivedere gli eventi.
Proprio in relazione a questa ultima frase, penso che ormai, a più di sessant’anni da quei fatti, quando ormai anche gli ultimi testimoni viventi di quegli eventi stanno lasciando questo mondo (e con la loro la memoria legata all’esperienza), e che quindi non rimangono che ricordi sbiaditi e flebili, bisogna puntare su un altro significato per quelle date.
Ho letto poco tempo fa questo pensiero in un bellissimo libro, “quando entrano in gioco i monumenti ai caduti, le cerimonie e tutto il resto, commemorare è sempre sinonimo di dimenticare” (Gli studenti di storia di Alan Bennett). Ed è quello che sta accadendo a noi. Ormai ebrei, nazisti, fascisti, foibe, comunisti, Liberazione, son tutte parole che si appiccicano sul calendario in determinati giorni, parole usate nella vita quotidiana senza senso, solo per fare impressione o per dare un tono al discorso. Dopo più di sessant’anni da quegli eventi bisogna prendere per mano queste parole, queste giornate del ricordo e creare un percorso nuovo, che metta le radici nel passato ma che non si fermi solo all’ieri, dando valori anche per l’oggi e il domani. Cosa mi interessa se dopo più di sessant’anni mi si dica: “Ehi, ricorda gli infoibati!”, quando nel mondo i bambini si ammazzano nelle miniere; cosa mi interessa dopo più di sei decadi degli ebrei nei lager quando i palestinesi vengono fatti vivere nelle stesse condizioni dagli ebrei stessi; che cosa mi interessa della Resistenza quando appoggiamo i dittatori perché ci servono i minerali per i nostri Iphone nuovi?
Niente mi interessa, penso per me e vado avanti per la mia strada; ricordo per dimenticare.
Ma invece bisogna sfruttare queste date già segnate sul calendario per un nuovo ma vivo percorso, un percorso dove il ricordo diviene forza vitale per il futuro e non una misera e polverosa ragnatela vecchia di non si quanto. Si potrebbe, quindi, creare un percorso che chiamerei “La lunga strada per la Liberazione dall’odio”.
Questo percorso però ha bisogna di una premessa, di un prerequisito fondamentale. Bisogna cioè che italiano facciamo i conti con il nostro passato. Come italiani dobbiamo smetterla di raccontarci miti e renderci conto della falsità della favola del “buon italiano” ed essere consci che le barbarie pure noi le abbiamo compiute, che pure noi siamo stati (e siamo) razzisti. E’ questa coscienza che può far partire il percorso di Liberazione dall’Odio. Capire di averne fatto parte, di averlo accolto dentro di se, di averlo sentito proprio.
L’ideale partenza di questa Strada è per me il famoso discorso del 3 gennaio 1925 di Mussolini, quello che è passato alla storia con questa frase “quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito?”. Con questo discorso al Parlmento il Duce si assunse la responsabilità morale e storica dell’omicidio Matteotti; fu li che la dittatura prese il sopravvento definitivamente e le farfalle da cercare divennero gli spiriti liberi da catturare. Qui nasce l’Odio, da qui parte il percorso di liberazione da esso.
Da questo ricordo si creano poi i presupposti per le due tappe seguenti di questa ipotetica strada. Il 27 gennaio e il 10 febbraio: il ricordo dell’odio diretto verso una razza e i diversi (sterminio degli ebrei, dei omosessuali, dei portatori di handicap…) e il ricordo che l’odio chiama solo odio (le foibe, gli jugoslavi che si vendicarono dei soprusi e delle violenze italiane).
Ma questo percorso arrivato nel suo climax di tragicità ha, nella sua ultima tappa, la gioia, la festa, la libertà. E’ la Festa della Liberazione, il 25 aprile: il popolo che si libera dall’odio e che vuole tornare a vivere!
3 gennaio, 27 gennaio, 10 febbraio e 25 aprile. Io la vedrei così, creare un percorso unitario e non più feste singole. Magari mi son fermato troppo ed ho abusato dei concetti di odio e libertà, quasi fossi un tesserato al partito dell’amore (“noi amore, voi odio” diceva i pidiellini tempo fa). Ma per me è uno spunto per un percorso di educazione civica che faccia capire agli uomini sia le conseguenze dell’odio in se per se, ma anche, che questo è stato sconfitto e che potrà anche in futuro essere sconfitto. Prendere l’esempio del passato e trasformarlo in esempio per il futuro.