Lettera ai lettori di Pansa

Gentile lettore, gentile lettrice,
dopo una lunga riflessione ho deciso di scriverLe per metterLa in guarda dal contenuto di questi libri, non perché siano storicamente inattendibili, tutt’altro, ma per il modo e l’approccio con il quale ne viene proposto il contenuto.
Pansa si dipinge, e viene dipinto da chi ne esalta la figura, quasi come “il portatore sano” della verità storica, nella fattispecie, la verità su come si sono realmente svolti i fatti della Resistenza; ruolo di “portatore sano” validato e rafforzato dall’aver appartenuto per anni alla “sinistra”: colui che dall’interno sapeva e che finalmente ha “parlato”. Ma appunto qui sta il primo dei molti errori che circondano questi libri. Innanzitutto, molti furono i lavori non solo storiografici sul periodo descritto da Pansa. Si hanno lavori sia di matrice comunista che repubblica-revisionista (per usare delle etichette politiche) sin dagli anni ’50 e ’60. Lavori che mettevano in luce i punti oscuri del periodo più di quarant’anni prima della “rivelazione pansiana”; lavori che potremmo definire “strumentali” e che “rendono in popolarità” per usare le parole dello stesso Pansa (sic!)usate su la Repubblica o l’Espresso, agli inizi degli anni ’90, per bollare i dibattiti attorno alla Resistenza.
Bel voltafaccia.
Un altro grave punto d’errore dei lavori del giornalista piemontese è la “mono-visione”, lo sguardo solo sui cosiddetti “vinti”, lavori che denotano il limite dell’occhio da giornalista, uno sguardo solo sull’ “oggi”, di chi non ha o non vuole usare l’occhio dello storico per ricercare le cause profonde dell’ “oggi” nello “ieri”: dopo una dittatura ventennale, cinque o anche più anni di guerra consecutivi (Etiopia, Spagna, Albania e la Seconda guerra), privazioni inumane, il vedere la propria vita crescere costretta in blocchi precostituiti dal regime senza la più totale speranza di libertà; dopo aver passato tutte, ed altre ancora, queste cose è comprensibile (ma comunque non perdonabile) una reazione del genere dei partigiani (o più semplicemente, degli oppressi) versi i propri aguzzini (o oppressori).
Per ultimo lascio l’errore di natura tecnica, importante pure questo, anche se lo si può definire sprezzantemente specialistico e noioso.
Pansa pare ignorare totalmente i più elementari ferri del mestiere storico: non parlo solo delle note, ma anche dell’assenza di una bibliografia.
Questi due punti sono imprescindibili in un lavoro storico. Per quanto frutto di un proprio ragionamento o intuizione, ogni ricerca storica si deve basare su basi documentarie che ne autentichino il contenuto e che, in caso di citazione di altri autori, rendano il giusto merito a chi precedentemente ha studiato quello stesso argomento: un rispetto intellettuale; ma questi due elementi, note e bibliografia, sono anche una forma di rispetto verso i lettori che, avendoli sott’occhio, possono andare a cercare nei testi citati ulteriori informazioni, analisi o punti di vista.

Vorrei chiudere con una citazione dalla Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide, dove, già venticinque secoli fa, il grande storico greco invitava a non farsi irretire dai facili luccichii di una storia-spot, ma di indagare e conoscere chiaramente i fatti del passato:

Forse l’assenza del favoloso dai fatti li farà apparire meno gradeveli all’ascolto: ma se quanti vorranno vedere la verità degli avvenimenti passati e di quelli che nel futuro si saranno rivelati, in conformità con la natura umana, tali o simili a questi, giudicheranno utile la mia narrazione, sarà sufficiente. E’ stata composta come un possesso per sempre piuttosto che come un pezzo per competizione da ascoltare sul momento.

(Tucidide, Storia della Guerra del Peloponneso, I 22,4)

PS: alcuni consigli di lettura, decisamente illuminanti, sul tema dell’uso pubblico (e politico) della storia:

  • Marina Caffiero, Micaela Procaccia (a cura di), Vero e falso. L’uso politico della storia, Donzelli, 2008, Roma;
  • Luciano Canfora, L’uso politico dei paradigmi storici, Laterza, 2010, Bari;
  • Aldo Giannuli, L’abuso pubblico della storia. Come e perché il potere politico falsifica il passato, Guanda, 2009, Parma;
  • Stefano Pivato, Vuoti di Memoria. Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana, Laterza, 2007, Bari.